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Karpathos: tra mare e vento

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Cita il dizionario “resilienza” è la capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi.

Ultimamente il mio cuore ha subito un colpo ben assestato, eppure, nonostante fosse sul punto di rompersi, ha trovato la capacità di resistere.
Ha trovato un piccolo barlume di speranza in grado di farlo battere nuovamente.

«Fai qualcosa che ti faccia stare bene» mi ripetevo e proprio questo mio cuore delicato mi ha dato la risposta: «Prendi la valigia e vai».

È nato così il viaggio a Karpathos.
È nato per caso, ma era già scritto nel destino perchè in quell’isola greca, situata a sud del mare Egeo fra Creta e Rodi, ho trovato una parte di me che pensavo dimenticata e una nuova amica.

«Vorrei andare in un’isola che nessuno conosce»
«Karpathos, nota anche come Scarpanto, che nome buffo, ma guarda dista solo due ore da Venezia e ci arrivi diretto con i voli low cost della Volotea. Che ne dici?»
«Partiamo»

Ho trascorso due ore e venti minuti di volo ammirando terre lontane abbracciate da un mare blu.
Ho trascorso due ore e venti minuti di volo ascoltando il mio cuore: era impaziente di atterrare, triste per ciò che lasciava in Italia, ma speranzoso di trovare un po’ di pace.

Poi d’un tratto è apparsa l’isola. «Assistenti di volo prepararsi all’atterraggio» sentenziava in tono metallico la voce del comandante dell’aereo, mentre nel finestrino appariva un quadro dove l’ocra delle montagne, alte e selvagge, spiccava sulle mille sfumature d’azzurro del Mar Egeo.

«Kalimera signorina, benvenuta a Karphatos, salga sul mio taxi».
Venti minuti dopo aver percorso una strada che costeggiando le spiagge si arrampicava sulle montagne per poi ridiscendere dolcemente verso una nuova baia, è apparsa Pigadia, la città principale dell’isola. Un piccolo centro marittimo oggi prettamente votato all’accoglienza dei turisti con un’unica strada principale piena di negozi di souvenir e ristoranti.

«Che ne dici andiamo in spiaggia?»
«Non vedo l’ora»
Sono bastati dieci minuti di passeggiata lungo la banchina del porto per arrivare alla grande spiaggia della città dove sorge anche un villaggio vacanze pieno di italiani.

«Ciao mare mi sei mancato» fu il mio primo pensiero prima di tuffarmi nell’acqua cristallina mentre il sole, tramontando, colorava la baia di rosa e arancione.

Il secondo giorno è iniziato all’insegna dei buoni propositi: «Noleggiamo un auto per visitare le spiagge». «Ok, dalle mappe quella più vicina è Amoopi».

Presa una Hunday I10 che a stento risaliva le ripide colline di Pigadia, in 10 minuti, l’orizzonte si è aperto verso una delle baie più belle che io abbia mai visto.
L’acqua sfumava dall’azzurro al turchese oscurata solo dall’ombra di piccole barche di pescatori ormeggiate dopo una nottata di lavoro. In cima alla scogliera una piccola chiesa, bianca e con le rifiniture azzurre, vegliava sui naviganti e sui bagnanti.

«Dai cerchiamo un posto»
«Un ombrellone e due lettini costano 8 euro per tutto il giorno»
«Io direi che posso vivere quì» ho replicato al bagnino.

Il cuore delicato, finalmente, aveva trovato il suo angolo di pace e in quell’acqua limpida ho ricominciato a nuotare e a provare quella sensazione di libertà assoluta che solo il nuoto in mare aperto sa donare, mentre bracciata dopo bracciata, ciò che senti nel silenzio degli abissi è solo il ritmo del tuo cuore che si fa tutt’uno con il respiro. Ed è subito felicità. 

I giorni seguenti sono trascorsi alla scoperta di nuove spiagge da sogno: se Amoopi era la mia preferita della costa Est insieme ad Apella e Kyra Panagia, nella parte ad Ovest dell’isola ho amato la spiaggia di Finiki vicino al villaggio di Arkasa, ma soprattutto quella di Lefkos. 

Karpathos, infatti, ha il pregio di essere un’isola selvaggia. Ha una natura aspra e bella, sferzata dal vento Meltemi che d’improvviso arrivava, con il suo profumo di pini marittimi, a scompigliarmi i capelli. Più cercavo di sistemarli, più lui sferzava. « Accidenti a te ventaccio» ma alla fine vinceva lui e io restavo meravigliosamente spettinata. 

Nel suo entroterra Karpathos nasconde paesini dai riti antichi, dove la vita scorre lenta scandita dai rintocchi delle campane delle chiese ortodosse.
Luoghi dove il tempo si è fermato all’epoca dei pastori che fuggivano dalle coste alle montagne per sopravvivere agli attacchi dei pirati.
Luoghi in cui si respira una storia che affonda le sue radici all’epoca dei Dori. Luoghi come il paese di Olympos. 

Arrivarci non è stato semplice: dal porto di Pigadia ho pagato 25 euro per un’escursione in barca che mi ha portato nella costa nord-est dell’isola dove si trova il porto più vicino al paese.
Da lì ho preso un autobus sgangherato che in 20 minuti di strada in salita è giunto a destinazione lasciandomi addosso un discreto senso di nausea oltre alla paura di morire rotolando giù per la ripida montagna. 

Olympos è incantevolmente decadente.
Gran parte delle case sono disabitate o affittate ai turisti perchè la popolazione locale vive vicino al mare. Vi restano solo pochi e coraggiosi abitanti che accolgono i visitatori con abiti tradizionali e tentano di vendergli qualsiasi cosa. Sono persone orgogliose, ma un po’ chiuse ed il paragone mi è sorto spontaneo: in realtà i greci, come il mio cuore, sono resilienti.

Nonostante la crisi ed il turismo di massa, sono fieri non solo delle loro origini, ricordate nei colori nazionali, bianco e azzurro delle case e delle chiese, ma anche del loro modo di essere. Nonostante i colpi del destino hanno saputo resistere: ricordano il passato, sopravvivono al presente e guardano con fiducia al futuro.

«Cuore mio, fai tesoro anche di questo viaggio e sii resiliente». 

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